Lungo le vie principali e i vicoli, le piazzette e gli slarghi in pendio, oltre le porte della città, si giunge comunque al centro. Si apre a noi la spazialità di una piazza che è quasi una campagna, con i comodi e tranquilli portici dei palazzi signorili che la cingono. Tuttavia, ciò che sembrava manifestarsi come la conquista del centro, si vanifica oltre l’aereo pennone della Torre dell’orologio: lo spazio definito della piazza si muove e fugge, oltre quella finestra nel vuoto, verso la spazialità aperta del paesaggio. La piazza delle origini, sino a tutto il secolo decimo quinto, si propone non quale rappresentazione di un potere ma espressione di una società mercantile, che fa di questo spazio il luogo della propria residenza e il centro della vita cittadina, strettamente legata alle necessità di scambio del nucleo urbano con il vasto territorio. Siamo in uno spazio, dove batte il tempo del mercante, dove le relazioni, gli incontri avvengono sempre in senso orizzontale. Il grande invaso, significativamente posto a ridosso delle mura urbane, si pone quale spazio di relazione, confine interno tra una realtà urbana e un territorio, anche per quanto riguarda alcuni valori comuni allo spazio della piazza e del paesaggio circostante, quali organicità, trasparenza, luminosità, colore, tessitura, solarità, proporzionalità e misura. Il paesaggio, anche per la particolare conformazione orografica del territorio, vi si affaccia continuamente, completando il senso di una profonda armonia. Nel cartiglio posto in fondo allo stemma della città del 1640, si legge la scrittura UTRAQUE IN UTRIMQUE indicante la doppia potestà dei due simboli – la Giustizia e la Carità – per la città e il suo contado, costituito da castelli e ville dipendenti. Dalla prima metà del ‘400, la piazza inizia ad assumere un nuovo ruolo, rappresentativo della diversa situazione politica della città: agli estremi sono posti il complesso agostiniano di S.M. Maddalena, e il Monte di Pietà (XVI sec.), a riprova della posizione svolta da quest’Ordine all’interno della città medioevale, con l’opera d’innesto della vita evangelica laddove gli uomini vivono e operano nella loro sociale quotidianità e il Palazzo dei Governatori (XVII sec.) ove prima sorgeva la Loggia della Misericordia (XIV sec.), luogo in cui si amministrava la giustizia e si presiedeva all’organizzazione della città: luoghi rappresentativi della Carità e della Giustizia; l’asse principale della struttura urbana ruota per interessare maggiormente l’asse maggiore dell’ellisse; il grande vuoto s’imposta gradualmente su una maggiore simmetria tra il lato sud e nord, mentre via Indivini, al centro del lato sud, ove si affacciano i palazzi principali, inizia a perdere la centralità di percorso urbano.
La piazza del mercato si caratterizza quale estensione e sviluppo del tessuto edilizio sorto dall’antica Basilica di San Lorenzo: l’asse funzionale di via Salimbeni si svilupperà sino alla Platea Mercati (sec. XIV), lungo le attuali vie Nazario Sauro e Garibaldi; urbanisticamente, si definisce attraverso la particolare struttura del lotto urbano, inteso quale spazio di mezzo, posto tra il grande vuoto e le vie di transito retrostanti, con un raddoppio nell’articolazione dei fronti su strada, in seno all’intero isolato o al singolo lotto, in corrispondenza del lato sud, con l’affaccio principale anche su via Massarelli. La realizzazione di tipologie edilizie con cortile interno e attraversamenti passanti trasversalmente al lotto, deve poter mediare, anche architettonicamente, una prevaricante presenza di “senso” della piazza, centro di vita cittadina, con spazi di latenza o luoghi più privati e intimi come chiostrine e cortili. I portici, le stalle e i magazzini, che ora ospitano negozi e botteghe, i palazzi che si aprono sulla piazza con ampi portoni d’ingresso, le vie retrostanti, su cui si aprono accessi secondari, gli attraversamenti interni al lotto e i luminosi cortili rappresentano la realizzazione di una complessa macchina urbana, ideata per rispondere a esigenze di rapido e funzionale approvvigionamento, immagazzinaggio e vendita di prodotti agricoli e artigianali. Permanenza storica di una tipologia edilizia, che nella piazza troverà un’ancora più complessa articolazione tipologica e morfologica. La Torre dell’Orologio, realizzata nel 1832 su disegno dell’Arch. Ireneo Aleandri, posta a conclusione del percorso urbano che anticamente tagliava in due la Piazza Maggiore, è un’architettura propriamente rappresentativa, interamente sviluppata nel piano verticale dello spazio: alla luce dei principi neoclassici, l’architettura si forma attraverso la matrice compositiva classica e la progettazione avviene per criteri funzionali; l’architetto osserva con particolare attenzione la realtà storica, geografica, topografica e culturale in cui si trova a operare, giungendo a elaborare un linguaggio originale, espressione di una società aristocratica e insieme popolare. La piazza si prolunga virtualmente oltre il campanile a vela, posto in alto, a conclusione della sobria ed elegante facciata, per rappresentare con chiarezza la corrispondenza profonda che esiste tra città e campagna, tra spazio urbano e paesaggio. Nella Torre dell’Orologio, l’unico fornice che conduce nella Chiesa della Misericordia, incornicia il precedente ingresso con il portale seicentesco in pietra di gesso; similmente, nella Torre di San Lorenzo, all’arco gotico segue il bel portale in calcare bianco, testimonianza della Basilica costruita nel VI secolo dai monaci Basiliani su di un antico tempio pagano. In entrambi i casi, alla funzione principale di scandire e far risuonare intorno il passare del tempo, l’architettura accompagna la registrazione e la documentazione della propria memoria storica, salvaguardando e integrando le preesistenze nel successivo intervento che, nel caso dell’Aleandri, si lega anche alla precedente Torre di San Lorenzo, scelto quale modello per una nuova forma, per citare e proporre il valore dell’antica architettura nella piazza, spazio della nuova rappresentazione urbana. L’Aleandri non abolisce la dimensione e il valore temporale del luogo; egli mostra la forma del tempo e pone il proprio intervento in dialettica con le architetture che, in precedenza, hanno segnato il sito e ora partecipano alla complessità di una nuova sintesi formale.